Arturo Di Modica “Senza arte non c'è vita!"

2023-02-22 18:22:20 By : Mr. Kevin Parts

Nel precedente scritto su Arturo di Modica per la mia rubrica Astratti Furori ho suddiviso in quattro filoni distinti quella che si può definire la summa del suo costante lavoro di ricerca. Abbiamo, dunque, appreso degli esordi, la formazione all’Accademia di Belle Arti a Firenze e l’incontro con Henry Moore. Di seguito: gli anni a New York, la costruzione della sua abitazione di Soho, le tre forti provocazioni con i “blitz” notturni (1977-1983-1985) e il Toro nel 1989.

Rimangono da scoprire nel dettaglio la genesi del Charging Bull e l’era post Toro; l’evoluzione artistica con le eleganti sculture in acciaio lucido, l’Arturo interior designer, il folle dono alla sua terra con la monumentale scultura bronzea dei due cavalli più grandi d’Europa e la Scuola del Nuovo Rinascimento.

Questo secondo appuntamento con Di Modica si snocciolerà prevalentemente come un racconto per immagini; mi premeva, infatti, mostrare nel dettaglio la prodigiosa produzione artistica creata nel trentennio che va dal Toro newyorkese ai pochi mesi prima della sua dipartita, nel 2021.

Anche qui sono presenti diverse frasi in corsivo pronunciate nel tempo dall’artista e da me estrapolate dai video presenti nel web.

Elio Vittorini ebbe a dire: ‘’Per la nostra fantasia di ribelli ad una società provinciale, troppo disposta alle sieste, agli idilli in mezzo al silenzio della natura, New York significò La Città, un luogo dove gli uomini avessero assunto, senza evasioni né rimorsi, con tutto il coraggio e la pertinacia, il compito di incidere e trasformare a forza di cronaca la pigra faccia del mondo.’’ Concetto quanto mai calzante con il modus vivendi di Di Modica.

E ancora Simone de Beauvoir sosteneva che c’è qualcosa nell’aria di New York che rende il sonno inutile e possiamo confermarlo noi nel presente, soprattutto per quanto riguarda l’attività newyorkese dedicata all’arte.

New York una metropoli cosmopolita e contraddittoria, patria di tutti e di nessuno. Terreno fertile, da sempre, per chi ha idee. Per Di Modica la scelta della Grande Mela come luogo in cui vivere e crearsi una posizione, facendosi spazio nel difficile mondo dell’arte, non fu casuale bensì scientemente ponderata: nel 1971 il grande salto!

Concepì il toro come un modo per celebrare lo spirito del si può fare dell’America, dove persone provenienti da tutto il mondo, attraverso determinazione e duro lavoro, superano ogni ostacolo pur d’avere successo.

‘’Ho fatto sempre quello che ho sentito di fare e New York mi ha aiutato molto. Sapevo che lì non mi avrebbe bloccato nessuno. Se fossi rimasto in Italia ci sarebbero volute dieci vite per realizzare quello che ho fatto lì.” A.D.M.

Il leggendario blitz del toro di Manhattan

Nella fototeca mentale basica di ognuno di noi, amanti dell’arte o meno, è presente il toro di Wall Street ma non a tutti è nota la sua origine, come e perché è nata e collocata proprio lì.

Aver associato, nel mio precedente articolo, Di Modica all’Alfieri col suo volli, e volli sempre, fortissimamente volli, non è un azzardo, bensì un modo per far comprendere appieno l’abnegazione con la quale rinchiusosi nella sua casa–studio ha lavorato alla realizzazione del toro. Più di due anni di alacre impegno e sacrifici. Ricordiamoci che l’artista si è autofinanziato.

Il faber magister siciliano si divideva tra la sua fonderia di fiducia, la Bedi Makky di New York, ed il suo studio.

Il Charging Bull è il risultato di diverse fusioni, più parti assemblate poi pezzo per pezzo. Eseguite le fasi di assemblaggio si passò alla saldatura e alla lucidatura.

Tutto il lavoro finale, rifinire e lucidare i pezzi, lo eseguì interamente nel suo studio di Crosby Street.

Nelle sere antecedenti al blitz, Arturo controllò bene la zona prescelta e, studiando gli intervalli di tempo dei passaggi della pattuglia della polizia, appurò che avrebbe avuto poco più di quattro minuti per lasciare due anni e mezzo di duro lavoro e 360.000 suoi dollari. Quella sera cenò con una quarantina di amici e sostenitori al ristorante I tre merli, al 463 di West Broadway.

Un po’ oltre la mezzanotte di quella fredda e oscura notte tra il 15 e il 16 dicembre, l’artista e il suo gruppo si dirigono verso lo New York Stock Exchange, lui sul camion con la gru accanto all’autista.

Giunti a destinazione, con grande sorpresa videro un gigantesco albero di natale installato sul luogo che avevano scelto per il toro. Arturo ebbe pochi secondi per dire all’autista di scendere ugualmente la scultura, ‘’mettiamola lì, sotto l’albero, è il mio regalo di natale per i newyorkesi!’’.

All’una di notte il toro prese posto sulla linea centrale gialla di Broad Street, al di fuori della Borsa, di fronte a Wall Street, proprio sotto l’albero. Euforico brindò con il suo gruppo di amici con dello champagne e andò a dormire.

‘’Se dovessero arrestarmi? Prenderò il toro e lo metterò in un altro posto. Questo è un toro che ho fatto per il popolo americano, per i giovani, per il futuro, per un’’America migliore.’’ A.D.M.

Verso mezzogiorno l’artista pranza e va vedere la sua creatura; trova però una sgradita sorpresa: sotto l’albero non c’era nulla, il toro era sparito! I dirigenti della Borsa, non avendo afferrato il messaggio dell’artista, non gradirono.

‘’Me lo portarono via. Per tre giorni nessuno sapeva dove fosse. Alla fine riuscii a sapere che era in un deposito nel Queens e andai a prenderlo. Pagai la multa di 500 dollari e lo abbandonai di nuovo per strada, questa volta al Bowling Green Park, dove si trova ancora oggi e nessuno può toccarlo in quanto monumento nazionale.” A.D.M

Per rimuovere quella scultura dalle dimensioni due volte e mezza del reale e condurla fuori città furono chiamati i poliziotti, ma si dimostrarono mal equipaggiati. La Borsa assunse allora degli appaltatori privati e fu trasportato nel Queens. Richard Grasso, allora presidente e chief officer al New York Stock Exchange, NYSE, disse che il toro poteva tornare solo se fosse stato realizzato un orso da mettere seduto al suo fianco.

“Il presidente della Borsa, Grasso, voleva che io realizzassi anche un orso. Gli ho detto che non lo avrei fatto, l’orso significa che il mercato va giù, ma io volevo rappresentare la città che diventa più grande, più forte, più veloce.” A.D.M.

Un imprenditore di Lower Manhattan, Arthur Piccolo della Bowling Green Association, lesse l’articolo sul trasferimento e cercò Di Modica nell’elenco telefonico. Si incontrarono per esaminare lo spazio di Bowling Green Park, a pochi isolati dallo NYSE, come futura casa del toro. Piccolo, si rivolse a Henry Stern, il commissario del NY Parks, che a sua volta contattò l’allora sindaco di New York, Edward Koch. Fortunatamente il sindaco diede subito l’ok.

L’eccentrico artista siciliano ottenne dal sindaco il permesso di mantenere la sua opera nella piazzetta del Bowling Green Park per sei mesi e poi per un anno. Oggi, divenuto monumento nazionale, quell’opera risulta essere il secondo monumento più visitato della città dopo la Statua della Libertà.

Quel generoso, eclatante, gesto volto alla città che lo aveva accolto e stimato, lo catapultò su tutte le prime pagine dei giornali, ma, soprattutto, gli cambiò radicalmente la vita.

Negli anni il Charging Bull è diventato emblema di fortuna e prosperità economica. Non è affatto raro vedere turisti, ma anche uomini di affari, accalcarsi per toccare i punti della statua che sono ritenuti essere di buon auspicio, ovvero il naso, le corna o i testicoli; per unirsi a questo rito porta fortuna occorre mettersi in fila.

‘’Ogni volta che il mercato azionario va male, la gente per strada mi ferma e chiede – Perché il toro non funziona? – ed io – Il toro sta riposando, è stanco, ma tornerà presto alla carica!’’ A.D.M.

Ironia. provocazione, sfruttamento dell’immagine del toro

Quell’animale dall’aspetto minaccioso, pronto a caricare, ha reso il Charging bull il prescelto da vari artisti per manifestare pubblicamente le proprie idee e posizioni. In parecchi lo hanno utilizzato per lanciare messaggi di vario genere e Di Modica ha visto più volte sfruttare l’immagine del toro, sovente travisandone il suo messaggio originario.

La polacca Agata Oleksiak, in arte Olek, nel natale del 2010 lo ha rivestito, con la tecnica dell’urban knitting, avvolgendolo in morbidi e colorati tessuti fatti a maglia dando all’opera il nome di Bull’s Pyjamas.

“È stato davvero un anno di azioni di guerriglia che ha aperto una nuova strada nelle mie indagini all’uncinetto – dichiarò alla stampa – Ho iniziato col rivestire una bicicletta e sono finita con il Charging bull come regalo di natale a New York e omaggio al grande scultore Arturo di Modica, che in un altro atto di guerriglia, nel natale del 1989 pose il toro a Wall Street come simbolo di forza e potenza del popolo americano dopo il crollo della borsa del 1987.

Ho voluto portare un po’ di colore nella grigia e austera Wall Street ricoprendo interamente il toro con della maglia colorata rosa, viola e nero’’.

L’installazione poche ore dopo, con l’arrivo dei sorveglianti, fu tolta. La stravagante artista emergente riuscì nel suo intento: farsi notare ed essere citata in diversi articoli. Oggi divenuta famosa viene ricordata principalmente per quella coperta.

Kristen Visbal, il 7 marzo del 2017, posiziona davanti all’opera di Di Modica la Fearless Girl, la bambina senza paura, in bronzo, con le braccia sui fianchi e l’aria dispettosa, affrontandola per niente intimorita; sfiderebbe, a suo dire, il rude e massiccio potere maschile rappresentato dal toro.

La Fearless Girl è stata commissionata dalla società pubblicitaria McCann e nasce da un progetto della società di consulenza finanziaria State Street Global Advisors, una delle più grandi banche del mondo. L’opera è stata inizialmente accompagnata dallo slogan “SHE makes a difference”, dove SHE altro non è che un fondo di investimento in società con elevato livello di gender diversity. Secondo la società era un mezzo per richiamare l’attenzione sul divario retributivo di genere e sulla mancanza di donne nei consigli di amministrazione del settore finanziario aziendale.

La Fearless girl fu immediatamente criticata da Arturo Di Modica che si vide costretto ad agire legalmente.

Vennero citati in giudizio sia l’artista Kristen Visbal che l’associazione committente, State Street Global Advisors, per danni derivati dalla violazione dei cosiddetti VARA-rights, ossia i diritti morali dell’artista, introdotti nel diritto federale statunitense attraverso il Visual Artist Rights Act del 1990.

Non poteva accettare passivamente che il significato attribuito alla sua opera venisse totalmente sovvertito, facendola diventare un simbolo negativo. Inoltre la bambina, face to face con il toro, ne avrebbe palesemente usufruito e sfruttato il successo internazionale.

Il movimento femminista ed il sindaco di allora De Blasio non vedevano problemi nell’avere le due sculture una vicina all’altra. Dopo lunghi dibattiti e prese di posizione, vinse Arturo. Il suo toro tornò ad essere l’icona positiva di forza e la bambina fu spostata davanti alla facciata della New York Stock Exchange dove è tutt’ora.

Non soltanto artisti in cerca di notorietà ma anche comuni cittadini usano il toro per lanciare i messaggi più disparati: la piazzetta del Bowlyng Park come luogo di protesta.

In un sabato di inizio settembre 2019, un camionista di Dallas si è avvicinato a Charging Bull e con un banjo di metallo improvvisato ha colpito ripetutamente il bovino di bronzo, maledicendo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a ogni colpo. Di Modica venne avvisato e immediatamente corse a ripararlo insieme a due saldatori professionisti. Riparare i danni all’opera bronzea costò 15.000 dollari.

Con gli attacchi al World Trade Center dell’11 settembre 2001 gli Stati Uniti affrontano il trauma globale con estrema difficoltà. Il 16 settembre 2001 Bin Laden legge un comunicato più tardi trasmesso dalla rete televisiva del Qatar, Al Jazeera, negando la propria responsabilità riguardo agli attentati.

Facendo riferimento a Osama bin Laden in un filmato della CNN del 17 settembre 2001, il presidente George W. Bush affermò: “Voglio giustizia. C’è un vecchio manifesto qui nel West che dice, Ricercato vivo o morto”.

Mentre il mondo precipitava nel conflitto, è emersa un’immagine potente del Charging Bull, a pochi isolati di distanza, in piedi forte e provocatorio di fronte al terrorismo, coperto di macerie e fuliggine dalle torri crollate.

Il messaggio del lavoro di Di Modica, per continuare a lottare contro le avversità, era più che mai necessario in quello che si è rivelato essere il peggior giorno della recente storia americana.

La scultura in bronzo del gorilla Harambe comparso davanti al toro nell’ottobre 2021, fu realizzata a ricordo dell’esemplare di 17 anni ucciso nel 2016 dai guardiani dello zoo di Cincinnati. Quel primate stava trascinando un bambino di 4 anni caduto nel suo fossato; divenne icona delle disuguaglianze e delle fragilità create dal sistema capitalistico. “Giustizia per Harambe” il nome della petizione che raccolse migliaia di firme.

Un settimanale russo, nel 1990, dedicò un articolo al nostro Arturo: ‘’Il re del Toro in carica, monumentale scultura in bronzo che si trova al Bowling Green di Broadway, ora ha un progetto ancora più spettacolare in mente, un regalo per il popolo russo.

Di Modica ha abbagliato New York lo scorso dicembre quando, insieme a tanti amici, ha posizionato il suo toro di bronzo da 3 tonnellate e mezzo sotto l’albero di natale della Borsa di New York.

Giovedì 26 gennaio, in occasione della celebrazione del suo 49° compleanno, ha svelato un modello di una scultura imponente per la quale intende raccogliere i fondi necessari in modo che il progetto possa essere completato prima possibile e inviato in Russia, per l’esposizione permanente a Mosca.

La sua arte è stata esposta in mostre personali e collettive in diverse città degli Stati Uniti e in Italia, oltre che a Londra, Parigi e Zurigo. Molti dei suoi pezzi si trovano in collezioni private e altri sono esposti da aziende nelle loro sedi.

Il Toro di New York è stato anche visitato da un gruppo appartenente al Circo di Mosca. Uno dei loro orsi è stato fatto esibire con la troupe al Radio City Music Hall e saltellare intorno alla statua di bronzo.’’

“Questa sarà un’immagine rappresentativa della nuova era di amicizia e cooperazione russo-americana che sta nascendo sotto la guida del presidente sovietico Mikhail Gorbaciov e del presidente George Bush.

Voglio che questa sia per il popolo russo la propria Statua della Libertà che diventerà l’immagine più riconosciuta della Russia in tutto il mondo. Un enorme orso, simbolo della Russia, amico della nostra donna che svetta nel porto di New York”. A.D.M.

Il 15 marzo 1990 Mikhail Gorbaciov viene eletto presidente dell’Unione Sovietica. Il 15 ottobre dello stesso anno, grazie alla sua fama di riformatore e leader politico mondiale, nonché al contributo dato per migliorare le sorti della guerra fredda, gli fu assegnato il Premio Nobel per la pace. Da lì a poco la guerra fredda terminerà.

Vengono meno i princìpi per i quali Di Modica avrebbe dovuto realizzare l’orso per la Russia, il clima tra Russia, U.S.A. e altri popoli iniziava a distendersi.

La romanzesca vita di Arturo, costellata da eventi singolari, lo porta nei primi anni duemila a conoscere Roffredo Caetani Lovatelli, conte, principe e duca italiano, parente di due papi.

Il Caetani era collezionista d’auto, concessionario Ferrari e Maserati a New York e nel Massachusetts. Non è chiaro se Di Modica lo conobbe da Cipriani, se glielo presentò Ivana Trump, sua cliente e all’epoca fidanzata col conte, o se gli vendette la sua Ferrari (aveva già in mente di acquistare una Lamborghini che ‘casualmente’ ha come logo il toro!), fatto sta che divennero amici. Tanto che Roffredo volle affidargli l’arredamento di una parte del suo splendido loft, al piano terra a Soho.

L’appartamento al 554 di Broome Street era originariamente una scuderia per i vigili del fuoco e decenni dopo fu acquistata da Caetani. Esteso su circa mille metri quadrati era strutturato e arredato in maniera stravagante: soffitto con travi a vista, lucernari, camino a legna in marmo, mattoni a vista alle pareti, pregiati pezzi d’antiquariato.

Arturo ha contribuito a renderlo estremamente atipico curando gli arredi della zona living. Trattandosi di un eccentrico miliardario, sapeva che avrebbe potuto osare e, soprattutto, sbalordire: pane per i suoi denti.

Inserì la testa di un toro d’ottone nel muro del soggiorno, un imponente lampadario in ferro battuto e, sospeso dal tetto che si estendeva per tutta la lunghezza del soggiorno-sala da pranzo, montò un enorme tronco che fece arrivare da un antico frantoio della sua Sicilia.

L’inaugurazione del loft richiamò il jet set e la stampa internazionale.

Caetani morì in Italia la vigilia di natale del 2005, a 53 anni, in un incidente con una macchina noleggiata in aeroporto.

Anni dopo che Di Modica ha lasciato la sua casa-studio di Crosby Street a Soho, la fondatrice del brand Totokaelo , Jill Wenger, ha trasformato l’edificio in un negozio dalle linee pulite e pieno di luce.

Sapientemente sfruttati anche i due giardini nascosti nelle terrazze sul tetto.

Nel 2016 questo show room è entrato a far parte della classifica dei dieci negozi più particolari, per architettura e design, di New York.

Dagli anni ’90 in poi, Di Modica era diventato un cliente fisso del ristorante stellato Cipriani Downtown. Quando era a New York vi pranzava o cenava quasi tutti i giorni, durante i quali incontrava la maggior parte dei suoi collezionisti e potenziali acquirenti. Grazia allo stretto legame con il titolare, Giuseppe Cipriani, le sue sculture iniziarono ad apparire all’interno del ristorante e le enormi opere in acciaio lucido comparivano sistematicamente all’esterno, sul marciapiede.

“Le centinaia di sculture in ferro battuto e bronzo che ho realizzato per i miei amici e i tanti committenti nelle case più importanti di New York sono come creature che continueranno a vivere anche dopo di me.

La mia “galleria” più curiosa è il ristorante Downtown dell’amico Cipriani, dove c’è la mia firma su tanti elementi di interior design. Mi emoziona sempre entrare in case con qualcosa di mio: metto la mano sulle ringhiere, scendo le scalinate, accarezzo i miei cavalli o le mie sculture levigate.” A.D.M.

Apre nel marzo del 2002 il Cipriani Dolci, dall’atmosfera retrò, ambiente chic e rilassante insieme. Massima l’attenzione al servizio e al menù classico italiano. Il ristorante è situato sulla balconata ovest della storica stazione di Grand Central.

Gli arredi in stile Art Deco, come riportato nel sito web Cipriani, sono stati interamente ideati e realizzati da Arturo Di Modica.

Cenare sovente al Cipriani Downtown ha consentito al maestro di conoscere attori, cantanti, politici, imprenditori. Capitava che venisse riconosciuto ed invitato al tavolo di questo o quel personaggio e lui, con i suoi modi scanzonati e spiritosi, riusciva a catalizzare l’attenzione per ore con i racconti delle sue prodezze.

In una di quelle sere ascolta per caso un uomo, seduto al tavolo accanto, parlare con la giovane donna che lo accompagnava di tigri, elefanti, deserti, e che avrebbe tanto voluto compiere un’azione forte, un qualcosa che riguardasse le sue tematiche ambientalistiche.

Arturo, con la semplicità che lo contraddistingueva, propose loro di prendere in considerazione l’idea di fare un servizio fotografico sul suo toro in bronzo. La reazione fu immediata, l’uomo si alzò in piedi esclamando: ‘’Ma sì, fantastica idea. Facciamolo subito!’’

Qualche giorno dopo a Di Modica mostrarono un giornale con una certa foto della quale lui non si mostrò affatto sorpreso. Quello che non poteva sapere era che quel signore era uno dei fotografi più famosi del mondo, Peter Beard.

La ragazza che si prestò a posare quella gelida notte era la modella Natalie White che intervistata disse: ‘’Stavamo cenando al Cipriani quando l’artista Arturo Di Modica seduto accanto a noi, sentendo che Peter avrebbe voluto compiere un’azione eclatante per accendere i riflettori sulle sue tematiche, ci mise a disposizione il suo famoso toro. Anche se quella sera faceva un gran freddo, non mi dispiaceva mettermi in topless sul Charging Bull, era arte! Scendemmo in strada con un intero seguito di persone e un amico mi issò sul toro, verso le corna. La parte più memorabile sono stati gli autobus pieni di turisti che hanno fermato il traffico per scattare foto, abbiamo causato un ingorgo.’’

La citazione di Beard sul New York Post fu impagabile: “È l’unica cosa che abbia mai fatto in finanza!’’.

Il fotografo Peter Beard, prima di specializzarsi nell’ambito ambientalista e naturalistico, tra gli anni ’70 e ’80, ha collaborato con i più noti esponenti della cultura: Truman Capote, Francis Bacon, Andy Warhol, Salvador Dalì, Rolling Stones.

Negli anni ’70 si dilettò a creare gioielli assemblando all’oro vari materiali. Allora poco esperto, si fece ricevere dalla direzione di Tiffany’s per mostrare una sua serie di monili molto particolari. Lasciò lì i disegni e non ci pensò più. Dopo mesi vide in vetrina uno dei suoi pezzi realizzati in argento e oro. Non avendo sottoscritto nessun accordo la cosa finì lì. Era il periodo in cui si firmava con pseudonimo di Acidomid, il suo cognome al contrario.

La varietà di linguaggi e stili, i vari “dialetti” della sua poliedrica creatività, danno vita a molteplici opere di pittura, scultura, design, architettura e, pensando alla straordinaria casa-studio da lui realizzata su cinque livelli, anche ingegneria.

Tra gli anni ’80 e ’90 realizzò alcuni elementi d’arredo per due ristoranti nel centro della Grande Mela, dello stesso proprietario, Diva e Medusa. Si trattava di panche e applique per il Diva, mentre per il Medusa gli fu stata commissionata una scultura bronzea che ritraesse proprio la gorgone. Questo ristorante in un secondo momento chiuse e lui riacquistò la sua opera per poi portarla con sé in Sicilia.

Della stessa Medusa realizzò versioni in acciaio lucido, una di esse presenti oggi al Cipriani Downtown.

Sempre a quel periodo risalgono i due maestosi lampadari in ferro battuto che creò, rispettivamente, a sedici bracci per un lussuoso ristorante e l’altro per il locale, il Bull Bar, che aveva in mente di avviare nei bassi della sua casa in Crosby Street. Su quel suo locale lavorò tantissimo, realizzandone ovviamente tutti gli arredi. Aveva persino già selezionato lo chef e il personale; purtroppo, si pensa per gelosie dei ristoranti del quartiere, non gli fu assegnata la licenza per gli alcolici. Arturo non si perse d’animo, vendette alcuni di quei pezzi d’arredamento e si dedicò al suo progetto successivo.

A proposito della Ferrari in foto, adoperata principalmente come mezzo per trasportare le sue opere o materiale di vario genere, possiamo intuire quanto stravagante fosse Arturo. Per molti poteva apparire esibizionista ma da chi lo conosceva bene mi è stato detto che lui era fatto così, con quella spontaneità e quel candore tipici del genio irrequieto; tutte espressioni di chi è riuscito ad attenersi alla sintesi deontologica, tracciata dall’intellettuale polacco Ryszard Kapuściński, per la quale bisognerebbe sempre conservare uno spazio di ingenuità. Unico antidoto al cinismo e alla freddezza di cui siamo circondati.

Una sregolatezza la sua dall’eccezione più lineare, da non associare alla dissolutezza, quanto piuttosto alla sua indole di uomo originale, non convenzionale; uomo che dorme tre ore a notte e lavora contemporaneamente a cinque opere.

Tra i vari aneddoti su Arturo che si tramandano nei racconti di amici e familiari c’è quello del cavallo dentro casa, a New York. Risale al periodo in cui doveva realizzare uno dei suoi due blitz con i cavalli, Trump Tower o Rockfeller Center, quindi 1983-1985.

In pratica una notte i suoi vicini di casa odono degli strani rumori, versi indecifrabili e chiamano la polizia.

Un gruppetto di persone si presenta davanti il loft di Arturo e lui li fa gentilmente accomodare.

Con immensa sorpresa trovano un adorabile cavalluccio passeggiare nello studio e Arturo che gli fa degli schizzi osservandone le movenze. Ovviamente quel vai e vieni di zoccoli nel silenzio della notte non poteva restare inosservato. Il tutto si conclude in una risata collettiva.

Il mattino seguente Arturo ed il suo caro amico a quattro zampe facevano colazione, come ogni mattina, al Ferrara Bakery in Grand Street. In quel bar pasticceria lo conoscevano tutti e non si meravigliavano più del fatto che mettesse ben tre bustine di zucchero nel caffè.

Una volta all’aeroporto di Catania lo fermano agli imbarchi perché aveva del ‘cibo sospetto’ e non potendolo portare con sé avrebbe dovuto consegnarlo. Senza batter ciglio si siede e mangia una dozzina di formine di marmellata di mele cotogne preparategli da sua mamma per portarle con sé a New York. Anche questo era Arturo!

In riconoscimento del suo lavoro e della singolare creatività e fama del Charging Bull, nel 1999 Arturo è stato selezionato per uno dei più prestigiosi premi annuali assegnati negli Stati Uniti, Ellis Island Medal of Honor.

Dalla fine dell’Ottocento fino a dopo la seconda guerra mondiale, nella baia di New York, nell’isolotto Ellis, approdarono avventurieri e artigiani, ma soprattutto contadini e mezzadri costretti a lasciare la loro terra d’origine alla ricerca di un futuro migliore. Ellis Island fu aperta nel 1892, quando l’America superò un periodo di depressione economica e cominciò a imporsi come potenza mondiale.

In tutta Europa si diffusero le voci sulle opportunità offerte dal Nuovo Mondo e migliaia di persone decisero di lasciare la loro patria. Poi la storia avanza, esile e potente, ed è quella di centinaia di uomini, donne e bambini che agli inizi del secolo sbarcarono a Ellis Island inseguendo in America il sogno di una vita migliore.

L’istituzione del premio risale al 1986. L’elegante cerimonia di premiazione si tiene nell’enorme sala allora sede di smistamento degli immigrati giunti con le navi.

Entro la fine del decennio del ‘900 il Charging Bull si era saldamente affermato come un’icona di New York e il contributo di Di Modica alle arti è stato riconosciuto con l’assegnazione della medaglia.

I precedenti premi includevano Mohammed Ali, Martin Scorsese, sette presidenti degli Stati Uniti, Frank Sinatra, Gregory Peck, Joe Di Maggio, Mia Farrow, Kirk e Michael Douglas, e tanti altri.

Luciano Moresco, carissimo amico di Arturo che conosceremo nel terzo ed ultimo scritto su di lui, lo coinvolge in un’esclusiva cena di gala in onore di Luciano Pavarotti allo Cherry Nederland.

Quel 12 ottobre 1998 il tenore compiva gli anni. Nel clou della serata, dopo una sfilata di moda, fu donata al grande tenore proprio un’opera di Di Modica, Horse biting its tail.

Nel 1994 viene istituito il Premio Ragusani nel Mondo. Un riconoscimento ideato al fine di valorizzare e far conoscere gli emigrati di origine iblea che, nelle varie parti del pianeta, hanno saputo affermarsi nel campo del sociale, dell’economia, della cultura, riaffermando in terra straniera le tradizionali doti di laboriosità e di ingegno made in Sicily. Da Ragusa un “ponte” per il mondo lo slogan del premio.

Di Modica, genio ibleo, venne insignito la prima volta nel 2000. Ritornò su quel palcoscenico dieci anni dopo, nel 2010, per dare una testimonianza di un’opera della quale andava fiero, un clone del Toro americano a Shangai.

Nel gennaio del 2020 l’artista presiede il torneo Professional Bull Riders di New York, del quale il Charging Bull in acciaio è il trofeo finale. Questa è l’ultima apparizione pubblica del maestro, da lì a poco, tra le restrizioni da Covid e le sue condizioni di salute, rientrerà definitivamente in Sicilia.

Nel marzo 2009, a New York, Di Modica conosce il senatore Giuseppe Zhu, Presidente Associazione Cina-Italia di Shanghai. Questi rimase molto colpito dai suoi tori simboleggianti la forza possente e la capacità di rinascita del popolo americano di risollevarsi nei momenti difficili. Ma anche il popolo cinese è resiliente e si è rialzato tante volte da pestilenze e dittature. Gli chiese allora di creare un’installazione anche per Shangai.

La scultura raffigurante un toro in bronzo sul Bund di Shanghai, oggi è diventata il simbolo dell’amicizia Cina-Italia.

Installa quindi a Shanghai il Bund Bull, una scultura delle stesse dimensioni del Charging Bull ma raffigurante un toro più giovane, progettato e creato per il Bund Financial Plaza all’apertura dell’Expo 2010 di Shanghai.

L’artista ha inteso, così, celebrare il recente dinamismo dell’economia cinese.

Si trova nel Bund, che è considerato un luogo che simboleggia l’era del capitalismo coloniale europeo in Cina. Nella piazza, la Bund Financial Square, sono stati installati quattro schermi con i prezzi delle azioni, dall’altra parte del fiume rispetto al distretto finanziario della città.

«L’idea di forza e grande energia che trasmette testimonia la volontà di riscatto nei momenti bui. La Borsa di Shanghai ha voluto il suo, diverso da quello newyorkese. Me lo chiesero leggermente più grande ed io risposi che non avevo nessuna intenzione di scatenare rivalità tra metropoli.» A.D.M.

                         

Nel luglio 2012 l’artista colloca un Toro in carica davanti alla borsa di Amsterdam Euronext, sulla Beursplein, come antidoto alla crisi del debito europeo. Lo Stier di Amsterdam è identico a quello americano ma un po’ più piccolo, 8 piedi anziché 11. Stavolta l’opera gli fu commissionata e quindi autorizzata, ma l’artista, come rito scaramantico collaudato, decise di posizionarla comunque di notte con dei suoi collaboratori.

Alcuni portavoce di Di Modica distribuirono, nel piazzale antistante la Borsa, volantini che recitavano: L’Europa è in crisi economica. Pensate positivo, insieme saliremo!

Quella di Amsterdam è una piazza finanziaria nata nel medioevo, oggi punto di approdo di moltissimi gruppi industriali, anche italiani. Nella compagnia delle azioni della borsa olandese sono nati i primi titoli al portatore.

Degli italiani troviamo le tre punte dell’iceberg Agnelli: Exor, Ferrari, Stellantis; la Mediaset dei Berlusconi; la Cementir holding dei Caltagirone; la Campari di Luca Garavoglia; la Ariston di Paolo Merloni; la Illy.

Le grandi famiglie del capitalismo italiano lasciano la patria che tanto ha fatto per loro ‘tradendola’ con l’Olanda.

Dopo Amsterdam il nostro simpatico torello arriva anche a Rotterdam.

Il magnate degli accessori per computer, Michel Perridon, commissiona a Di Modica, per la sua tenuta nei Paesi Bassi, un esemplare gemello a quello di Amsterdam, di otto piedi.

Tra i due nasce una bella amicizia, coltivata negli ultimi anni di vita del maestro, tanto che Perridon partecipa ai suoi funerali arrivando direttamente da Rotterdam col suo aereo personale.

“Se potessi localizzare un toro negli Emirati, il triangolo per la pace nel mondo sarebbe completo. Lo dico alla gente, il toro non sta combattendo: rappresenta un’economia più forte e di conseguenza un mondo migliore per i giovani del futuro.” A.D.M.

In effetti una capatina negli Emirati la fece, espose delle sue opere a Dubai, ma il progetto di un suo toro di 11 piedi ad Abu Dhabi non si concretizzò.

Poco male, tre gemelli del Charging Bull hanno trovato altre tre splendide, insospettabili collocazioni.

A metà del 2000, Di Modica è stato presentato a uno dei collezionisti più influenti del mondo, Joe Lewis, che si dice abbia orchestrato la vendita da 206 milioni di dollari di Christies del 1997 che ha fatto esplodere il mercato dell’arte moderna.

Dopo aver stabilito che Lewis avrebbe potuto acquistare l’opera solo se avesse accettato di non spostarla da Bowling Green, i due si sono messi a negoziare un prezzo. Dopo un tempo considerevole trascorso sullo yacht di Lewis, fu concordata la cifra.

Ma c’è dell’altro: Lewis commissiona il resto delle sculture all’interno dell’edizione, che non erano ancora state fuse, quindi altri tre tori gemelli da 11 piedi.

Grazie ai ‘capricci’ di Lewis il Charging Bull scorazza allegramente, da una decina d’anni, nei soffici prati verdi di tre oasi residenziali extra lusso, rispettivamente ad Orlando, al Lake Nona, all’Isleworth Golf & Country Club di Windermere, sempre in Florida e all’Albany, Bahamas.

Joe Lewis oggi vive a bordo di Aviva III un super yacht alto 67 metri: un edificio di sei piani extra-lusso e con tutti i comfort, compreso un campo da tennis, coricati sul mare delle Bahamas. Vi trascorre nove mesi all’anno, durante gli altri tre capita che la sua ‘casa’ sia ormeggiata lungo il Tamigi, nei pressi del Tower Bridge. A lui, patron del Tottenham, il quinto uomo più ricco d’Inghilterra con un patrimonio da 4.5 miliardi di sterline è stato permesso di arrivare lì per attraccare nel cuore di Londra.

Il giovane Lewis cresce allevato sopra il pub di Roman Arms, nella zona est di Londra. Lasciò la scuola a 15 anni per lavorare nel caffè della sua famiglia come cameriere guadagnando sei sterline a settimana.

Quella piccola azienda di famiglia divenne col tempo un business ben più importante nell’ambito del catering e della ristorazione, allargando i propri interessi ai negozi turistici e ai tour in autobus per gli stranieri che prima venivano scarrozzati per Londra e poi venivano condotti a rifocillarsi nei suoi locali, tra cui The Talk of the Town, il club che ha visto esibirsi Diana Ross, Tom Jones e Frank Sinatra.

Si narra che, nel settembre del 1992, sia diventato miliardario grazie ad un investimento effettuato nel giorno chiamato Black Wednesday, quando decise di scommettere contro il meccanismo dei tassi di cambio europei e la sterlina prevedendone il collasso, mentre la Gran Bretagna tentava di allinearlo con altri paesi dell’Euro.

Da lì l’inarrestabile ascesa.

Ama circondarsi di opere d’arte, nella reggia galleggiante custodisce un tesoro, una collezione valutata un miliardo di dollari che annovera quadri di Picasso e Matisse, Chagall, Mirò. Nel 2008 pagò circa 30 milioni di euro per un dipinto di Francis Bacon.

Chissà se a quel loro incontro sullo yacht si sia parlato di come, partendo entrambi dal basso, si sia arrivati a realizzare grandi cose…

Lake Nona, situato a Orlando, in Florida, è una comunità visionaria con gli elementi costitutivi del futuro di oggi. Al suo interno, tra hotel, residenze e ristoranti di lusso, si trova il Lake Nona Sculpture Garden, uno spazio all’aperto di 50.000 piedi quadrati, 300 palme, progettato per l’esplorazione e la scoperta di una distinta selezione di sculture provenienti da una delle più grandi collezioni d’arte private del mondo, The Lewis Collection.

Quando Arturo di Modica vendette i suoi tori a Lewis e seppe che uno di essi sarebbe stato collocato in questo stupefacente museo all’aperto ne fu estremamente felice, per due motivi: uno perché era l’unico artista vivente tra quelli più importanti lì presenti e l’altro perché sarebbe stato nuovamente vicino al suo grande maestro, Henry Moore.

Oggi non c’è più neanche Arturo, ma una curiosa casualità ha voluto che la sua opera, dialogasse con le due di Moore oltre ogni barriera temporale.

Dopo aver ricevuto il guadagno inaspettato derivante dal completamento della commissione, Di Modica ha finalmente modo di intraprendere contemporaneamente due nuovi e ambiziosi progetti ai quali pensava da anni: una scuola internazionale di scultura su 12 acri nella sua città natale e la scultura equina più grande del mondo.

Si potrebbe sostenere che incontrare Joe Lewis, prima Henry Moore che lo ispirò agli esordi per poi denominarlo ‘’il giovane Michelangelo’’, come anche tanti altri personaggi e situazioni in grado di fargli ‘’inseguire la variante’’, pensare sempre in grande, hanno rappresentato tutte le occasioni, le tante tappe, che hanno puntellato la sua vita.

È un artista contemporaneo che ha operato al di fuori dei confini del mondo dell’arte tradizionale per la maggior parte della sua carriera.

Ma c’è qualcosa che il nostro Arturo non è arrivato a vedere, più di una in verità, e per quanto lungimirante non avrebbe mai potuto immaginare.

Si tratta di un qualcosa così straordinario da rasentare l’incredibile: per ricostruire la postura del più grande dinosauro ritrovato finora, il Big John, a chi si sono ispirati? Al Charging Bull!

Big John era un triceratopo gigante, dinosauro con tre corni, risalente a 66 milioni di anni fa e viveva in Laramidia, un continente insulare che si estendeva dall’attuale Alaska al Messico. Morì su un’antica pianura alluvionale del Sud Dakota, permettendo al suo scheletro di essere conservato nel fango, in un sedimento privo di qualsiasi attività biologica.

Nel 2015 le ossa fossilizzate sono state scoperte dal geologo Walter W. Stein Bill e nell’ottobre 2020, ancora avvolte nella roccia, sono arrivate a Trieste, nel laboratorio Zoic.

Specializzato nel restauro di esemplari preistorici fin dalla sua creazione quarant’anni fa da parte del prof. Flavio Bacchia, il laboratorio ha già dato nuova vita a due dei quattro più importanti triceratopi scoperti e ora esposti in musei.

Il team di geologi ha speso migliaia di ore di minuzioso lavoro per estrarre, pulire, restaurare e catalogare ogni osso fossilizzato per ricostruire lo scheletro dell’animale.

Big John, completo a più del 60% e con un cranio completo al 75%, è allo stesso tempo un miracolo della natura e un’opera d’arte.

Prima di essere offerto all’asta il 21 ottobre a Parigi è stato esposto in Piazza Unità d’Italia a Trieste, dal 30 luglio al 1° agosto 2021. Big John è stato poi venduto ad un acquirente anonimo per 6 milioni 600 mila euro.

Inaugurato il 6 aprile 2022, a Miami, il più grande evento di criptovaluta di sempre.

La piattaforma di investimento TradeStation voleva un’opera d’arte che potesse rappresentare il futuro dell’economia e della criptovaluta. Una scultura che incarnasse, in cromo e fibra di vetro, il passaggio dal passato al futuro, quindi perché non un toro-robot futuristico, ma con le sembianze dell’iconico Charging Bull di New York?

La new economy della criptovaluta, bitcoin e affini getta il guanto di sfida contro il mercato finanziario-bancario internazionale riconducibile inevitabilmente al binomio Wall Street-toro di Di Modica.

Chi lo raccoglierà poco importa, quel che è certo è che ad Arturo tutto questo avrebbe garbato ben poco, tra plagio e sfruttamento d’immagine credo si sarebbe infuriato più della sua bestiola…

Il Miami Bull è alto tre metri, pesa 1,360 kg, le corna sono in color bronzo e gli occhi sono due raggi laser blu, occhi furiosi che quasi mettono soggezione a guardarli.

E’ stato disegnato da Furio Tedeschi, italiano ca va sans dire, e fabbricato dallo studio Onyx Forge specializzato in effetti speciali cinematografici. Tedeschi è un digital artist e scultore 3D, ideatore di personaggi hollywoodiani come Transformers, Batman vs. Superman, Gremlins 2.

“Benvenuti nel futuro della finanza – ha detto il sindaco di Miami prima di svelare al pubblico il Toro – il mondo della finanza è cambiato e la linea che demarca il confine tra la finanza cosiddetta tradizionale, con sede a Wall Street, e la nuova finanza cripto, con sede a Miami, è sempre più marcata.

Abbiamo voluto rivedere in maniera attuale e rivolta al futuro, il simbolo della finanza, nella città che per prima ha capito e creduto in questo cambio epocale. Allo stesso tempo, era per noi importante dare un segnale forte di inclusività: la finanza non è patrimonio di singole persone o di caste, ragione per cui il Miami Bull non ha genitali, è genderless.’’

Il Crypto Bull, sosia del Toro di Arturo del terzo millennio, ha fatto discutere da subito, da alcuni è stato chiamato “un crimine verso Dio” e da altri “pretty cool”.

Una sorta di biografia a fumetti del maestro, ne racconta la vita delineando le tappe più salienti, dalla partenza per Firenze a 19 anni, al volo per NY, le sculture di marmo lasciate al Rockfeller Center nel 1977, al brindisi al toro sotto l’albero di natale.

E concludere con lui malato che tornato in Sicilia, davanti alla chiesa dei suoi funerali, San Giovanni a Vittoria, rivede il disegno dei suoi due monumentali cavalli sperando che qualcuno dopo di lui porti a compimento la sua straordinaria utopia.

Idea carina da interpretare come un delicato tributo all’artista.

Video ideato a New York nel 2021.

Il critico d’arte Ornella Fazzina: ‘’In un gioco continuo tra figurazione e astrazione, in una produzione che vede il dettaglio realistico e l’eliminazione dello stesso, Arturo Di Modica nel suo continuo processo di rielaborazione testimonia radicali evoluzioni che contrassegnano la sua scultura. Il linguaggio essenziale usato non blocca la forma dentro uno schema geometrico, ma le fa mantenere una vitale energia e un dinamismo interni, mutuando modelli offerti dalle varie forme della natura. L’abilità di rappresentare un’immagine ai limiti del naturalismo, con pochi elementi formali sfiora il virtuosismo.

In questo processo di riduzione le opere derivano sempre da un modello reale, ma tale processo di limitazione dei riferimenti naturalistici cambia la forma in simbolo. Andare oltre la mera rassomiglianza tra l’arte e il mondo, fa vedere l’interiorità delle cose.’’

La prolifica attività scultorea ‘’post Toro’’ abbraccia vari soggetti, dalle forme astratte e sinuose al figurativo.

Di Modica vive sempre a New York ma rientra di frequente per rivedere la famiglia, lavorare a qualche suo progetto e, di tanto in tanto, partecipare a mostre o fiere d’arte nel nord Italia

Nel 2017, a Vittoria, partecipa alla mostra collettiva “Erotica-mente, tra i paesaggi dell’immaginario”, nella galleria d’arte Edonè.

Una raccolta di quaranta lavori tra disegni, incisioni, dipinti e sculture, tra le opere esposte spiccano i nomi di Manet, Pissarro, Rodin,

Schiele, Grosz, Bellmer, Guttuso, Tamburi, Manzù, Ziveri, Greco, De Andreis, Orquin.

Ognuno con una personale interpretazione dell’eros.

Una delle rare figure umane creata da Di Modica è la Ginnasta, scultura in acciaio inox a dimensione reale.

Quel gesto delle braccia dritte sulla panca che stanno per dare la spinta per il salto fa immaginare ciò che accadrà dopo quel preciso istante. Energia vitale imprigionata nel flessuoso corpo della giovane che pare venir fuori da un bagno nell’argento, in un incredibile gioco di equilibrio e dinamismo.

Quest’opera e le altre di seguito sono state realizzate nella sua fonderia di fiducia del Cunnecticut.

Nella carriera di Di Modica si possono trovare alcuni simboli religiosi. Quando gli veniva chiesto se era religioso, rispondeva di credere principalmente nell’universo.

Nel 1997 ha completato una Menorah alta oltre 14 piedi per la comunità ebraica e installata a Bowling Green per Hanukkah quell’anno. Durante una cerimonia durante la celebrazione le candele della Menorah sono state accese per tutti coloro che venivano ad adorare. La Menorah doveva essere reinstallata l’anno successivo, ma mentre era in deposito dopo la prima celebrazione è scomparsa, presumibilmente rubata. Nonostante gli sforzi di Di Modica per rintracciare l’opera nel corso di molti anni, alla fine si rassegnò alla conclusione che fosse sparita per sempre e che non si sarebbe mai più rivista. Questo fino al 2019, quando una piccola casa d’aste a Long Island la mette in vendita.

Alla casa d’aste è stato immediatamente comunicato che la scultura era stata rubata e che la sua commercializzazione doveva cessare immediatamente. Fu chiamata la polizia e ne seguì una battaglia legale.

Quello che è successo durante i 22 anni in cui la Menorah è scomparsa rimane un mistero fino ad oggi.

Un altro elemento da aggiungere ai simboli religiosi, insieme all’angelo e alla menorah ebraica, fu un giovane Cristo.

Creò il modello di quella che doveva essere l’opera della quale da tempo aveva in mente il progetto: una monumentale scultura di trenta metri di un Cristo bronzeo da collocare nella terrazza di Ragusa, in fondo alla via Roma, che affaccia sulla vallata.

Diverse le opere delle quali Di Modica ha creato i modelli in scala rimaste incompiute per mancanza di fondi da parte della committenza o perché, subentrata la malattia, ha dovuto interromperne l’esecuzione.

La Trinacria è uno di quei progetti andati in fumo. Questa scultura, in bronzo e acciaio, è il modello della Fontana della legalità, alta cinque metri, nella quale sono presenti anche dei delfini, da vedersi come i magistrati caduti in difesa della loro terra.

Nel 2017 inizia a lavorare alla progettazione di un’opera monumentale per il 250° anniversario della fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776-2026.

Di Modica era in trattativa con le Bahamas, con l’isola di San Salvador, nella quale nel 1492 Cristoforo Colombo, sbarcò dopo mesi di navigazione scoprendo l’America.

L’aggravarsi delle sue condizioni di salute lo costrinsero ad abbandonare il progetto, ne rimane il modello: un intreccio di vele su una base di onde marine con delfini e stelle marine.

Tra il 2012 ed il 2013, minato dal brutto male che inizia a stancarlo ed il trascorrere mesi in Sicilia per seguire i suoi progetti, affida, per la prima volta, sue opere a due diverse gallerie d’arte, una di Londra ed una nel Cunnecticat. Entrambi i mercanti – galleristi realizzano per lui diverse importanti mostre.

Dall’inglese Jacob Harmer ho potuto raccogliere una serie di preziose testimonianze delle quali parlerò nel prossimo numero, quello dedicato alle interviste.

Sappiamo quanto forte sia sempre stato il legame di Di Modica con i cavalli, anche loro, come i tori hanno viaggiato parecchio.

Nel 2011, tra ottobre e novembre, uno dei suoi noti Cavallo che si morde la coda, in acciaio, è stato ammirato per un mese all’ingresso principale di The Arcade a Cyberport, Hong Kong.

Opera da sempre concepita da Arturo Di Modica come un modo per esprimere la sua visione di energia vitale, vittoria, passione e onore.

Nel 2013 il suo amico stilista Roberto Cavalli, conosciuto ai tempi di Firenze, gliene commissionò uno per la sua tenuta storica in Toscana.

Ho avuto il privilegio di entrare nella tenuta del maestro Di Modica due volte: ai primi di settembre dello scorso anno e a dicembre. Emozioni forti e contrastanti. La prima volta è stata una scoperta, mi sono sentita a Fantasilandia!

Caldo tanto soffocante da non poter ragionare ma, nonostante tutto, dovevo assolutamente visitare quegli spazi immensi e rendermi conto di persona di quello che mi era stato raccontato giorni prima dai suoi amici vittoriesi.

Il Far West di Mezzogiorno di fuoco? Uguale.

Diciamo che quella è stata la fase dell’esplorazione, della scoperta e dello stupore.

Come detto nella prima parte del racconto su Di Modica, non esistono testi o cataloghi su di lui, per quel discorso già affrontato del suo essere schivo e scevro da ogni strategia tradizionale del mercato dell’arte.

Questo ha comportato per me una seria difficoltà iniziale a reperire informazioni e iniziare a delineare un mio personale profilo dell’artista da poter mettere nero su bianco.

Ho iniziato con il contattare chi gli fosse stato vicino nella sua città e difatti, a luglio, ho conosciuto un paio di suoi amici. Sapevo sommariamente qualcosa su questo bizzarro personaggio ma ascoltare loro fu come sentirmi raccontare una favola. In un secondo momento, contattai la famiglia di Arturo per poter vedere le sue opere e la tenuta, la curiosità mi divorava; ma per quanto mi fossi fatta un’idea approssimativa di quello che mi aspettava, grazie anche a delle foto che mi furono mostrate, quell’idea non poteva mai corrispondere a realtà.

Quanto vidi quell’assolata mattina di settembre superò ogni mia aspettativa. Ci fu quindi la fase della meraviglia.

La seconda volta invece, avendo nel frattempo approfondito le mie ricerche e ascoltato tante altre persone a lui legate, anche di New York e, soprattutto, la figlia e la moglie, una maggiore consapevolezza dell’artista e dell’uomo avevano generato in me un’accesa fascinazione nei suoi confronti.

Il mosaico si stava lentamente completando. Ritornare lì, con tutto quello che avevo appreso su Arturo in tre mesi, mi ha dato la sensazione di accedere in un luogo inviolabile che emanava solennità.

Il suo laboratorio, con opere finite o incomplete sparse qua e là, gli arnesi da lavoro, qualche straccetto stropicciato, mi davano la sensazione di una presenza assenza, quella del maestro, molto marcata; come se si fosse appena allontanato e stesse per rientrare da un momento all’altro. Arturo era lì, in ogni centimetro cubo impolverato della sua galleria-studio. Immaginare che lui lì avesse trascorso le ultime ore della sua esistenza creando, prendendo a morsi gli ultimi frammenti di quella caleidoscopica vita, mi mozzava il respiro. Quasi mi sentissi osservata avevo timore a sfiorare le opere lì presenti.

Ecco il perché delle emozioni contrastanti: stupore e sacralità. Pelle d’oca.

‘’Avevo sedici anni quando iniziai a immaginare due cavalli grandissimi che impennavano sopra le rive del fiume Ippari. Sono quasi pronto per la loro realizzazione. Saranno in bronzo, alti quaranta metri.’’ A.D.M.

‘’Ho completato due cavalli in bronzo, maschio e femmina, da otto metri che si uniscono in un arco. Li ho chiamati Fighting Horses, cavalli combattenti. Si tratta di un prototipo che venderò per finanziare quelli da 40 metri da piazzare sopra il fiume Ippari che costeggia Vittoria, la mia città. È il regalo che voglio lasciare alla mia terra. Perché uno come me, che ha vissuto per 45 anni a New York, ma prima ancora a Firenze e ovunque lo portasse il cuore, le sue radici non potrà mai dimenticarle.’’ A.D.M.

«Per il 2020 è prevista l’apertura del mio museo privato nel cuore di Vittoria, vicino alla storica Valle dell’Ippari, dove saranno esposte mie opere e quelle di artisti italiani e stranieri. E senza risparmiarmi continuo con la costruzione della mia scuola d’arte personale nella mia dimora. Serve molto spazio sia per le sculture, alcune alte più di 8 metri, che per l’arena di studio.’’ A.D.M.

“È arrivato il tempo per il rinascimento di Vittoria e dell’intera area iblea. Bisogna impegnarsi e non lasciare più spazio all’ignoranza e alle devianze, determinato a sensibilizzare le menti e iniziare un cambiamento radicale, a partire dalla mia terra, attraverso l’arte e la cultura. Ho sempre viaggiato molto ma con me ho portato ovunque Vittoria, inserendola, anche simbolicamente, all’interno delle mie opere.

 Adesso la gente dovrà venire qui, dove c’è bisogno, per conoscere, sostenere e rispettare le persone che si sacrificano per questo meraviglioso lembo dell’isola.’’ A.D.M.

L’anfiteatro ‘’al contrario”, nel senso che il pubblico andrebbe seduto in basso e il palcoscenico in alto. In cima alla scalinata, infatti, aveva già creato quella che sarebbe poi stata la grande fontana circolare che avrebbe fatto da base alle gigantesche mani di marmo.

In pratica lui aveva ideato un marchingegno che avrebbe fatto roteare la pedana che doveva sorreggere le mani. Mani che a loro volta avrebbero contenuto i prodotti della terra, le primizie, da qui il nome di Piazzale delle Primizie. All’interno della fontana giochi d’acqua e dei suoi delfini. I calchi in gesso di uva, peperone e altro sono già pronti, mancava il rivestimento in marmo policromo.

“In uno spazio di cento mila mq sto preparando qualcosa mai vista prima in Sicilia. C’è anche un teatro costruito al contrario rispetto a quello greco. La gente vedrà le performance da sotto e le scene si svilupperanno in aria, verso il cielo.’’ A.D.M.

«Il progetto è ambizioso ma io sono abituato a pensare in grande. Nella tenuta che ho acquistato nascerà una scuola internazionale di scultura, uno studio, un laboratorio, un teatro, un museo archeologico, una piazza delle “primizie” dedicata a tutti i lavoratori della terra. Poi il sogno è quello di posizionare due grandi sculture che rappresentano due cavalli. Vittoria deve rinascere partendo dall’arte perché ha tutte le potenzialità per poter diventare centro internazionale di scambi culturali e meta di viaggiatori». A.D.M.

“Ad oggi ho investito personalmente più di 25 milioni di euro, ma ne servono ancora molti. Investo tutto quanto di mia proprietà e, soprattutto, tempo e arte. Abbiamo bisogno di sostegno perché è compito di tutti investire sul futuro. Per ricavare parte dei fondi, saranno messi in vendita due cavalli bronzei che sto completando.

Non mi fermo mai, perché fermandosi di fronte alle difficoltà, c’è il rischio di arrestarsi completamente.’’ A.D.M.

L’affermare che il 19 febbraio del 2021 si è spento Arturo di Modica a mio avviso ha una doppia interpretazione.

Spento in quanto faro, luce continua sull’arte e non soltanto. Questa luce avrà anche smesso di creare, qui sulla terra, ma continuerà nelle sue opere. Arturo plasmava le sue creazioni lasciandosi guidare soltanto dal suo senso delle cose, dalla generosità, dalla curiosità, dall’ambizione, dalla cupidità. Il suo raccontare il mondo, che è fiducia nella vita, nel lavoro e nell’uomo, non avrà una fine.

Il nostro visionario del bello ha saputo vedere il mondo come pochi, con quella levità che permette di fuggire dalle brutalità della vita. Da acuto provocatore ha nutrito la sua ambizione con il suo soffio di vita e di futuro, conquistando consensi planetari.

Ipertrofia dell’ego? Non direi, piuttosto un’altra ossessiva sfida, affrontata tutta da solo, di un artista fuori da ogni canone, da ogni corrente, da ogni regola. Le sue opere restano le depositarie, il lascito della sua autobiografia mai scritta.

Rispolverando le teorie di Epicuro e Lucrezio potremmo immaginare un Arturo controcorrente con consapevolezza, tanto da avere applicato alla sua vita lo schema del clinamen; quella gocciolina di pioggia sul vetro che ad un certo punto devia e anziché scendere perpendicolarmente prende un’altra direzione, laterale, e si aggrega alle altre gocce.

Alla necessità del cadere dritte come le altre subentra la libertà di qualcosa che improvvisamente cambia le regole: la libertà dell’azione rispetto alla dura necessità. Clinamen inteso come quella possibilità nella nostra mente di deviare il percorso rispetto al ‘protocollo’ regolare, scontato, delle cose. Va inteso come costituente stesso di ogni nostra dimensione; quello che dovremmo porci prima di talune decisioni rispetto ad altre affinchè la deviazione ci riservi, se pur a volte in maniera inaspettata, quel guizzo, quel colpo di genio che ci fa raggiungere traguardi altrimenti impensabili da conquistare.

Se nel mondo della cultura, nelle sue diverse declinazioni, per indicare il talento valgono il successo e il denaro, per fortuna esistono ancora delle figure che sfuggono a questi diktat, come cantava De André si muovono “in direzione ostinata e contraria”.

Arturo ha inseguito la variante, coltivando le proprie passioni in assoluta libertà. Una mente sublime la sua, da sempre fuori dal coro, che ha viaggiato in direzione ostinata e contraria, appunto, esponendosi in prima persona, pecora nera contro la maggioranza (Clinamen).

Lo sculptor of power & vision, come amava autodefinirsi, dall’intelligenza lucida e visionaria, sfiorato dalla pulsione di un’energia altra, tale da creare un’arte che pare sia stata modellata da mani tanto prodigiose da sembrare medianiche. 

Un’arte manovrata da passione, emozioni forti, inquietudine, elementi che scuotono energicamente e spingono verso grandi traguardi e che assomiglia all’eternità.

Amo immaginare che, come ne La creazione di Adamo di Michelangelo nella Cappella Sistina, Dio comunica all’uomo la propria potenza creativa e la bellezza stessa della divinità, anche Arturo, nel fatidico ‘quasi contatto’, abbia potuto ricevere dall’alto quel dono, tanto raro quanto prodigioso…

Lo scorso gennaio Città Segrete di Rai3 ha dedicato due puntate a New York.

Quello che mi ha rattristato è che pur facendo comparire ben due volte il Charging Bull non c’è stata nessuna menzione alla scultura simbolo di quel luogo.

Si è anche parlato dei tanti italo americani naturalizzati lì, grandi nomi, molti dei quali hanno ricevuto la medaglia dell’Ellis Island, proprio quella che ricevette Arturo nel 1999, ma sul Di Modica neanche una parola. Peccato.

Lungi da me dare colpe a qualcuno, quello che dispiace è che una storia avvincente, inedita, unica, come quella del Di Modica andrebbe celebrata, non adombrata.

Chi e cosa si è celato dietro all’iconico Toro di Wall Street dovrebbe essere reso noto in onore di chi ha dedicato la sua intera esistenza all’arte. L’eredità artistica, etica e culturale del fantasioso siciliano barbuto, del provocatore dell’arte, va salvaguardata con devoto rispetto.

“Io sento di avere trasmesso quella linfa vitale, quel desiderio di stupire me stesso e il mondo che mi spinse tanti anni fa a lasciare la Sicilia. Quando mi sono ammalato ho voluto disfarmi di tutto: forse proprio per questo mio distacco dalle cose terrene, la vita ha voluto darmi un’altra chance”. A.D.M

Credo che soltanto col divulgare tale lascito, come mai fatto prima, e sensibilizzare le nuove generazioni ad usufruire del patrimonio di un nume tutelare, finora alla mercè di sgradevoli dinamiche (miopi-politicizzate-strumentalizzanti-ottuse, ma soprattutto ingrate!), si possa evitare ad un tale genio di cadere inesorabilmente nell’oblio.

E’ di Trilussa l’epigrammatica frase se insisti e resisti, raggiungi e conquisti. Bene, il nostro Arturo ha compiuto tutto ciò, d’ora in avanti starà a noi non sprecarlo.

https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/Dieci-cervelli-italiani-States-7dc1bfc6-a984-41a2-8196-a5898c6486bb.html

https://www.visitorlando.com/blog/post/lake-nona-sculpture-garden-jefre/

https://www.lakenona.com/thing/charging-bull-by-arturo-di-modica/

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